Blog di FORMAZIONE PERMANENTE MISSIONARIA – Uno sguardo missionario sulla Vita, il Mondo e la Chiesa MISSIONARY ONGOING FORMATION – A missionary look on the life of the world and the church
Uno dei testi più commoventi che io conosca è una lettera di Rosa Luxemburg scritta a un’amica dal carcere femminile di Breslavia, in occasione del Natale, pochi mesi prima della sua esecuzione. Era l’ultimo scorcio di quel paradossale 1917, e pochi si arrischiavano a dire con certezza verso quale destino il mondo di allora veniva trascinato. Il testo di Rosa Luxemburg conferma un impegno esplicito in quel contesto storico e prende le difese della rivoluzione allora in corso in Russia, contrastando la prospettiva dei «corrispondenti dei giornali borghesi» che descrivevano la nuova situazione come uno scatenarsi di follia. Questa è sicuramente la parte più datata, parziale e invecchiata della lettera. Rosa sa essere profetica nei confronti della Germania, intravedendo la possibilità di un pogrom, ma non lo è allo stesso modo in rapporto alla Russia.
In realtà, ciò che fa della sua lettera un «documento di umanità e poesia», per citare Karl Kraus, che dovrebbe essere insegnato «alle generazioni future», sono le due parti successive. Era il terzo Natale che la filosofa e sindacalista passava in prigione. Cerca un albero di Natale per sé, ma non riesce a rimediare altro che un arbusto misero e spoglio, che comunque porta nella propria cella. E questo la porta a interrogarsi sulla «ebbrezza gioiosa» che riusciva a conservare in quell’inferno, quella irriducibile sorta di fiducia che persisteva in lei a dispetto dello sconforto e della desolazione. Scrive quella notte: «Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell’oscurità, della noia, della prigione invernale – e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito. […] In questi momenti io penso a voi e mi piacerebbe tanto trasmettervi questa chiave magica, affinché percepiate sempre e in qualsiasi situazione il lato bello e gioioso della vita». E quando si chiede più profondamente il perché di tanta «felicità», dichiara: «Non ne trovo affatto e non posso impedirmi di sorridere ancora di me. Credo che questo segreto non sia altro che la vita stessa».
L’ultima parte della lettera non è meno indimenticabile. Rosa Luxemburg assiste all’arrivo di carri ricolmi di pesanti sacchi di indumenti militari, che le prigioniere dovranno rammendare. Sono trainati da bufali catturati in Romania ed esibiti come trofei. Per la prima volta, nota l’indicibile dolore degli animali. È uno shock e una rivelazione. Quando si azzarda a chiedere «un po’ di compassione» per quelle creature stremate, il barrocciaio le risponde violentemente: «E di noialtri, chi ha dunque pietà?». E davanti a lei ricomincia a battere con forza i bufali.
Lo sguardo di Rosa Luxemburg si fissa allora su uno di loro. L’animale sanguinava, ma restava immobile, con gli occhi più mansueti che lei mai avesse visto. In quegli occhi scorge un’impotenza simile a quella di un bambino che avesse pianto a lungo senza essere ascoltato. «Era esattamente l’espressione di un bambino che viene punito duramente e non sa per quale motivo né perché, che non sa come scappare dalla sofferenza e dalla forza bruta… Ero davanti a lui, l’animale mi guardava, le lacrime colavano dai miei occhi, erano le sue lacrime. Davanti al dolore di un fratello caro è impossibile non essere scossi dai più dolorosi singhiozzi come lo ero io nella mia impotenza davanti a questa muta sofferenza».
Dall’empatia che legava in quel momento una donna a un anonimo animale ferito nasceva una nuova forma di resistenza alla brutalità e alla barbarie. «Davanti ai miei occhi vidi passare la guerra allo stato puro»: Rosa Luxemburg comprende che una comunione tra gli esseri umani e le altre creature non è solo possibile. È urgente e necessaria.
Avvenire 10/12/2015
Sólo el AMOR puede superar el odio!
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