Blog di FORMAZIONE PERMANENTE MISSIONARIA – Uno sguardo missionario sulla Vita, il Mondo e la Chiesa MISSIONARY ONGOING FORMATION – A missionary look on the life of the world and the church
“Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri” (Marco 9,50)
Un granello di sale quotidiano per dare sapore alla tua giornata.
Signore, non è orgoglioso il mio cuore (Sal 130,1).
Tanto l’orgoglio quanto l’umiltà cercano il silenzio interiore. L’orgoglio tenta di imitare il silenzio di Dio con una forzata immobilità. Ma il silenzio di Dio è la perfezione della Vita Pura ed il silenzio dell’orgoglio è silenzio di morte.
L’umiltà cerca il silenzio non dell’inattività, ma dell’attività ordinata, in quella che è più consona alla nostra povertà e alla nostra miseria di fronte a Dio. L’umiltà va a pregare e trova il silenzio per mezzo delle parole: ma siccome è per noi naturale passare dalle parole al silenzio e dal silenzio alle parole, l’umiltà è silenziosa in tutto. Anche quando parla, l’umiltà ascolta. Le sue parole sono così semplici, gentili e povere che giungono senza sforzo al silenzio di Dio. Infatti ne sono l’eco, e non appena vengono pronunciate, il suo silenzio e già in esse presente.
L’orgoglio teme di uscire da se stesso per paura di perdere ciò che ha prodotto dentro di sé. Il suo silenzio e quindi minacciato dagli atti caritatevoli. Siccome invece l’umiltà non trova niente in se stessa (perché umiltà è il suo stesso silenzio), non può perdere pace e silenzio uscendo da se stessa per ascoltare gli altri o per parlare loro per amore di Dio. In tutte le cose l’umiltà è silenziosa e quieta e perfino il suo lavoro è riposo. In omnibus requiem quaesivi.
Non è il parlare che rompe il nostro silenzio, ma la smania di essere ascoltati. Le parole dell’orgoglioso impongono silenzio agli altri in modo che si possa udire solo la sua voce. L’umile parla solamente perché gli si parli. Non chiede altro che una elemosina, poi aspetta e ascolta.
Il silenzio e ordinato alla ricapitolazione finale che si farà in parole di tutto ciò per cui si è vissuto. Riceviamo Cristo ascoltandolo nella parola della fede. Ci costruiamo la nostra salvezza nel silenzio e nella speranza, ma presto o tardi viene il momento di dover confessare Dio apertamente di fronte agli uomini e poi dinanzi a tutti gli abitanti del cielo e della terra.
Se la nostra vita si è effusa in parole inutili, non ascolteremo nulla, non diverremo nulla, e alla fine, siccome avremo detto tutto prima di aver qualche cosa da dire, rimarremo senza parole al momento della nostra più grande decisione.
Ma il silenzio è ordinato alla dichiarazione finale. Non è fine a se stesso. Tutta la nostra vita è una meditazione della nostra ultima decisione la sola che importi. E meditiamo in silenzio. Eppure in certo senso abbiamo l’obbligo di parlare agli altri, di aiutarli a veder il modo di prendere le loro decisioni, di insegnare loro Cristo. E nel far ciò, proprio le nostre parole insegnano a essi un nuovo silenzio: il silenzio della Resurrezione. In questo silenzio si formano e si preparano in modo da pater dire anch’essi quanto hanno udito: Io ebbi fede, perciò parlai (Sal 115,1).
da “Pensieri nella solitudine” di Thomas Merton (1915-1968),
trappista americano, maestro spirituale molto stimato,
ritenuto tra i più grandi scrittori spirituali del XX secolo.