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Gli avversari di Gesù non ammettono che un uomo possa avere origine divina e, così, possedere e dare vita definitiva. Ma Gesù insiste: egli è il datore di vita definitiva, in opposizione a quella conferita dalla manna.
Ci sono dei giudei fedeli al regime che lo criticano per aver detto in precedenza (6,33): “Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Si riferiva al dono dello Spirito, la comunicazione di vita di Dio all’uomo. Ma i contestatori mettono la frase al passato il pane disceso dal cielo, riferendosi a un momento storico particolare. Gesù parlava della sua missione di dare vita, che è continua; essi invece si riferiscono all’origine divina che si deduce da questa missione, e non l’accettano. Gli avversari di Gesù protestano contro la sua pretesa. La loro argomentazione si basa sulla sua origine umana, ben nota, che secondo loro esclude di per se stessa ogni origine divina. La pretesa di Gesù, uomo di carne e ossa, è inammissibile. La pietra di scandalo è, pertanto, l’umanità di Gesù. Essi separano nettamente Dio dall’uomo; non credono nel suo amore, generoso e gratuito, che lo porta a comunicare se stesso agli uomini. I giudei fedeli alla Legge non conoscono un Dio vicino.
Per avvicinarsi a Gesù è necessario lasciarsi attrarre dal Padre, ma essi non riconoscono che Dio è Padre e che è a favore dell’uomo (5,37), anzi professano la necessità dell’allontanamento di Dio dall’uomo. Il padre spinge verso Gesù, perché questi è il suo dono, l’espressione del suo amore e della sua vicinanza all’umanità (3,16; 4,10). Essi, che non si interessano all’uomo, né aspettano tale dono né lo desiderano (2,9-10), sono trincerati nella loro teologia, che impedisce loro di essere docili all’azione di Dio e pertanto non accettano Gesù. La risurrezione era ammessa e difesa dalla scuola farisaica, come premio per l’osservanza della Legge. Gesù afferma che essa non dipende da tale osservanza, ma dall’adesione a lui. Non vi è altra risurrezione che quella data da lui e inclusa nella vita che egli comunica (6,39). Egli è il modello dell’umanità in cammino per la vita eterna (5,26).
Avvicinarsi a Gesù è fonte di salvezza, ma la loro formazione e la loro interpretazione dei profeti (Is 54,13 e Ger 31,33) inducono a credere che Dio avrebbe inculcato al popolo la fedeltà alla legge mosaica. Gesù, tuttavia, dà un’interpretazione differente: Dio non insegna a osservare la Legge, ma ad aderire a lui. Di qui la frase seguente: Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Il testo di Isaia non è citato alla lettera; nell’originale Dio parla a Gerusalemme e dice così: “Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore”. Sopprimendo i tuoi figli, il detto viene universalizzato: il Signore della profezia, non è più il Dio solo di Israele, ma il Padre universale (4,21). Quindi l’insegnamento viene offerto a tutti e a tutti è possibile l’adesione.
Per questo motivo non occorre un’esperienza di Dio al di fuori dell’ordinario. Di fatto, per quel popolo bastava prestare attenzione alla sua antica storia per comprendere che Dio è dalla parte dell’uomo. Soltanto in Gesù, che procede dal Padre possiamo sperimentare immediatamente il Padre; egli è l’unico che possa manifestare il suo disegno sull’uomo e presentare le condizioni per realizzarlo (6,39-40). Ma essi rischiano di restare nella loro incredulità: non ascoltato Dio perché non sono a favore dell’uomo; per questo si oppongono a Gesù.
Dopo la precedente denuncia, Gesù pronuncia una dichiarazione solenne. L’effetto dell’adesione personale a lui è per l’uomo una nuova qualità di vita, che, per la sua pienezza, è definitiva. L’uomo si realizza tramite l’adesione a Gesù che ricapitolizza tutte le aspirazioni umane.
Gesù si contrappone alla manna e anche alla Legge che, come fonte di vita, era chiamata pane, e la cui osservanza, secondo la dottrina rabbinica, assicurava la vita per il mondo futuro (1,4). La manna dava vita in questo mondo, la Legge la conferiva per il mondo futuro. Gesù, come pane, comunica all’uomo fin d’ora la vita propria del mondo definitivo.
Gesù torna al tema della manna, per mostrare loro che quel pane, per quanto prodigioso lo considerassero, non comunicava vita autentica. È da notare in primo luogo che Gesù non si identifica con la teologia giudaica: i vostri padri, non sono i padri di Gesù; la salvezza che egli porta è destinata all’umanità intera (3,16; 4,22), non ad un unico popolo. Essi hanno menzionato suo padre e sua madre (6,42); egli parla unicamente del Padre mio (6,40). Ma avere Dio per Padre (= essere disceso dal cielo, 6,41.42) non è incompatibile con la sua origine umana, al contrario: l’universalità del Padre fa della sua realtà umana un mezzo di comunione con l’umanità intera. Con l’antica manna, la generazione uscita dalla schiavitù non fu in grado di giungere alla meta. Per loro, l’esodo fu la rovina; il popolo costituito sul Sinai non raggiunse il suo obiettivo. La comunità umana che Gesù fonda ha invece piena possibilità di riuscita. Per l’assimilazione di lui, i suoi membri godranno di una vita che non si può distruggere, quella che assicura il successo dell’impresa. L’incessante comunicazione di vita da parte dello Spirito che fluisce attraverso Gesù assicura la disponibilità permanente del dono, che l’uomo deve fare suo in un determinato momento (aoristo: phághē).
Si noti la differenza con la frase precedente (6,50). Il pane che discende continuamente, come dono sempre offerto, viene ora descritto come il pane disceso, indicando il momento iniziale della sua presenza nel mondo; apre così un periodo di tempo che terminerà con il dono di se stesso, come pane e come carne (6,51b), nella sua morte. Con questa frase Gesù riassume tutto il suo pensiero precedente, prima di precisare in che modo egli sarà alimento.
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