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Isaia 61, 1-2. 10-11 Salmo Cant. Lc 1, 46-54 1Tessalonicesi 5, 16-24
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Lectio della Domenica (III Avvento)
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Lectio della Domenica (III Avvento)
6 Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 19 Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20 Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21 Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono!», disse. «Sei tu il profeta? ». «No», rispose. 22 Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23 Rispose: «Io[sono] voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». 24 Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25 Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26 Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’ acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27 colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28 Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
È sorprendente constatare che, nei vangeli, un profeta, un inviato di Dio, ha provenienza diversa da ciò che ci aspetteremmo. Quando Dio deve intervenire nella storia sceglie normalmente persone, quasi sempre, non appartenenti all’ufficialità delle istituzioni religiose. Ecco che la parola di Dio, in questo brano evangelico, si rivolge ad un individuo che, per vincoli di sangue, proviene da famiglia religiosa e sacerdotale, ma, per scelta di vita, si è orientato in altra direzione.
L’evangelista Luca, in modo particolare, sottolinea enfaticamente le sorprendenti scelte di Dio presentando uno scenario volutamente pomposo: “nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca della Abilene, sotto i sommi sacerdoti (lett. il sommo sacerdote) Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto” (Lc 3,1-2). Dopo aver presentato i sette grandi della terra ed aver creato aspettativa (a chi di questi si rivolgerà Dio?), con un colpo da maestro Luca mostra la scelta di Dio: un uomo al di fuori della sfera del potere e delle gerarchie religiose di quel tempo. Dio il cui progetto è rivolto all’uomo sceglie un uomo per manifestarlo, uno che non ha altro titolo se non quello di appartenente alla specie umana e oggetto dell’amore di Dio. Unica caratteristica particolare di questa persona è il nome, Giovanni, l’ebraico Yohanan, che significa “Dio è misericordia”.
Ecco perché Dio non ha scelto un rappresentante della gerarchia religiosa: gli occorreva un uomo che fosse testimone della luce che stava per giungere e per questo scopo non poteva scegliere un adepto del mondo delle tenebre che l’evangelista Giovanni identifica con il potere e con l’istituzione religiosa del tempo. L’azione di queste “tenebre” è stata talmente dannosa da essere riuscita ad arrestare il processo di crescita di libere personalità di uomini e donne. Compito di Giovanni è quello di risvegliare il desiderio di vita negli uomini e così renderli coscienti dell’esigenza della luce, per far scoprire in ogni uomo quel che era latente ma non morto. La ripetizione del tema della testimonianza di Giovanni, sottolinea la funzione che questi eserciterà, mediante l’invito a prendere le distanze dal passato, appartenente al mondo delle tenebre, mediante un gesto simbolico di morte attraverso l’immersione (battesimo) in un’acqua che cancella l’uomo vecchio e fa nascere il nuovo (Gv 1,26). Perché tutti credessero per mezzo di lui: la missione di Giovanni è universale (tutti). L’evangelista anticipa il programma di Dio: una chiamata non indirizzata solo ad un determinato popolo, ma a tutti quelli che hanno in sé un anelito alla pienezza di vita e che sono destinatari del suo progetto .
L’evangelista chiarisce che il ruolo di Giovanni non è quello di essere luce, ma testimone di questa. La sottolineatura è dovuta al fatto che il fascino di Giovanni non si è spento con la sua morte ed ancora al tempo della stesura di questo vangelo esistevano dei discepoli che non avevano accettato Gesù e credevano che Giovanni fosse il Messia (Gv 1,20). Tra l’altro la testimonianza su Gesù costituirà una pesante difficoltà. La difficoltà, specialmente da parte dei religiosi di accettare Gesù come Messia, nasce dal fatto che egli si presenta come una persona tanto normale da non aver nessuna di quelle qualità che ci si aspetta da un uomo in comunione con Dio. Gesù non si distingueva in nulla – se non per l’alta capacità di amare – dal resto degli ebrei. Nessuna distinzione di Gesù nei vangeli viene messa in risalto: mangia e beve come tutti, anzi lo fa pure nei giorni dedicati al digiuno; perde la pazienza e si indigna, gioisce, si stanca, si riposa… è umano! Per di più non indossa alcun distintivo religioso, non abita in luoghi religiosi ma passò beneficando e risanando tutti…! (At 10,38).
Con il termine Giudei (caratteristico dell’evangelista: 71 citazioni contro le 5 di Matteo, 6 di Marco e 5 di Luca) nel vangelo di Giovanni, per lo più, (salvo alcune eccezioni) non vengono indicati gli abitanti della Giudea, ma i capi politico-religiosi. I Giudei sono distinti dal popolo che li teme (Gv 7,13; 9,22; 19,38; 20,19); sono i detentori del potere, come appare evidente in questo caso in cui sono quelli che mandano sacerdoti e leviti ad interrogare Giovanni. Giovanni nel prologo è stato definito mandato da Dio (Gv 1,6), ma gli inviati da Dio non hanno vita facile con le realtà istituzionali già costituite. Quando Giovanni il Battista appare nella storia… è subito scontro con le sacre gerarchie che partoriscono un’inchiesta giudiziaria.
L’attività di Giovanni, di essere testimone della luce (Gv 1,7), suscita i sospetti delle tenebre, cioè le autorità religiose, che mandano sacerdoti e leviti, l’apparato istituzionale in funzione nel Tempio di Gerusalemme, a interrogarlo. La missione di Giovanni, risvegliare il desiderio di pienezza di vita nelle persone, provoca l’immediata reazione delle autorità. Queste possono dominare fin tanto che le persone vivono, sottomesse al loro potere e al loro insegnamento, senza discernimento critico. I sacerdoti erano gli addetti al culto. I leviti, gli appartenenti alla tribù di Levi (tribù che, essendo stata eliminata dalla spartizione della terra, aveva ricevuto in cambio il privilegio di fare i sacrestani nel tempio [Nm 1,48-53]), esercitavano tra l’altro la funzione di vigilanza e di polizia (1Cr 6,33). I leviti erano a disposizione del Sinedrio per conto del quale potevano arrestare le persone ed eseguire le sentenze di pena. La loro presenza è segno evidente che erano pronti per arrestare Giovanni. L’interrogatorio comincia in maniera brutale, con una domanda intimidatoria: “Tu, chi sei?”.
Giovanni va subito a quello che è il problema che suscita l’allarme e dichiara di non essere lui il Messia. Dalla risposta di Giovanni si vede che quel che le autorità temono è proprio il Messia. In apparenza lo attendevano e pregavano per la sua venuta; in realtà lo temevano, perché secondo la tradizione popolare, il Messia alla sua venuta avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto del Tempio e dei sommi sacerdoti venuti a compromessi con il dominatore romano. Il Messia avrebbe dovuto riformare le istituzioni religiose e deporre l’intera gerarchia religiosa resasi indegna. Il tono della risposta che l’evangelista pone sulle labbra di Giovanni indica che questi era ritenuto da molti il Messia. Nel vangelo di Luca si legge che il popolo si domandava: “riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo” (Lc 3,15).
Spiazzati dalla risposta di Giovanni che smentisce di essere il Messia, sacerdoti e leviti gli chiedono allora chi è mai. La tradizione popolare prevedeva che Elia sarebbe venuto a preparare l’arrivo del Messia. Questa tradizione poggiava su un testo del profeta Malachia nel quale si diceva: “Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore” (Ml 3,23). È l’unica volta che in Giovanni viene menzionato Elia, il profeta che con zelo violento sterminava i suoi avversari (1Re 18,20-40; 2Re 1,10). Secondo quanto scritto nel libro del Siracide Elia sarebbe dovuto ritornare per “ristabilire le tribù di Giacobbe” (Sir 48,10), in particolare Elia avrebbe dovuto selezionare il popolo, dividendo le famiglie impure da quelle pure, le legittime da quelle illegittime, perché, solo le famiglie israelite pure potevano essere sicure di partecipare alla salvezza del Messia (Eduyyot 8,7).
Le risposte del Battista sono via via più brevi ed egli smentisce di essere il profeta Elia. “Sei tu il profeta?”: l’enfasi posta sulla domanda allude alla promessa fatta dal Signore a Mosè secondo cui Egli avrebbe suscitato per il popolo un profeta pari a lui al quale dare ascolto (Dt 18,15). La tradizione interpretava questo profeta come un nuovo Mosè. “No”, rispose: le risposte di Giovanni, sempre più secche, accrescono lo sconcerto dei sacerdoti e leviti.
Completamente spiazzati dalle secche risposte di Giovanni chiedono come questi definisca se stesso: “chi sei?” Sacerdoti e leviti devono riferire alle autorità che dovranno decidere il grado di pericolosità rappresentato dal Battista. Non può essere innocente uno che comincia un’attività senza avere il mandato delle autorità competenti.
Dopo la triplice negazione ecco la risposta positiva. Nella risposta di Giovanni l’evangelista evita la formula “io sono” = (egṓ eimi) riservata unicamente al Cristo e al cieco nato (Gv 9,9) e per questo omette il verbo. Mentre Gesù è stato presentato come il Logos, la Parola, Giovanni è solo una voce. Il deserto è il luogo dove si situa Giovanni e da dove si leva la sua voce. Giovanni adopera una espressione di Isaia, dove il profeta annuncia l’esodo liberatore dalla schiavitù babilonese (Is 40,1-11). Nel testo di Isaia c’è l’annuncio che frutto di questa operazione sarà che “Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno” (Is 40,5) ma, nella risposta, il Battista, dal testo di Isaia al v. 3: “nel deserto preparate la via al Signore, raddrizzate/spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.…” omette “preparate la via” ed utilizza solo “raddrizzate/spianate”. Per l’evangelista le autorità religiose non devono preparare nulla (non sono in grado di preparare la strada…), ma solo togliere quegli ostacoli che essi stessi hanno posto sulla strada del Signore rendendone difficile il cammino.
Le autorità religiose vengono sempre presentate in questo vangelo come un ostacolo al Signore. Nel contesto dell’esodo liberatore, l’evangelista presenta i capi come i successori del faraone; anch’essi tentano di impedire la liberazione che il Signore vuole realizzare, mantenendo il popolo nella schiavitù: sono le tenebre che tentano di soffocare la luce (Gv 1,5). I capi non ascolteranno l’invito del Battista, che anzi verrà incarcerato. Essi non ascoltano i profeti che il Signore invia, ma solo quelli che sono morti, come Mosè “noi siamo discepoli di Mosè” (Gv 9,28).
L’interrogatorio è concluso, ma c’è chi non è soddisfatto. Appaiono per la prima volta i farisei, gli avversari di Gesù anch’essi sensibilissimi al primo sintomo di allarme per il loro sistema religioso. In questo vangelo, la prima volta che i farisei compaiono, è per interrogare (e se possibile arrestare) Giovanni, e l’ultima, per arrestare Gesù (Gv 18,3). Sono anch’essi le tenebre che tentano di soffocare la luce già al suo primo debole apparire. Anche i farisei aspettavano il Regno di Dio, che pensavano sarebbe sopraggiunto attraverso l’osservanza radicale e meticolosa di tutta la Legge. I farisei praticavano nella vita quotidiana quelle severe regole che il sacerdote osservava per una settimana all’anno nel servizio al Tempio. Costoro non sono soddisfatti delle risposte di Giovanni e continuano ad interrogarlo.
Quel che sconcerta gli inviati dai farisei (v.24) è che un individuo si presenti sostenendo di essere inviato da Dio senza collocarsi nel solco della tradizione di Israele. L’atteso era il Messia, il profeta Elia o il profeta… Giovanni dove si situa? Gli inviati sono disorientati, accusano Giovanni di esercitare un’attività (battezzare) senza alcun mandato. Il verbo tradotto con battezzare (baptízô) significa immergere. Il rito era conosciuto nel mondo giudaico come segno di un cambiamento di vita (per es. dalla schiavitù alla libertà) o di religione. A Gerusalemme il rito si svolgeva nella piscina di Siloe. Il fatto che sia Giovanni a battezzare, cioè a immergere le persone nell’acqua, indica che c’è chi lo riconosce come inviato da Dio e accetta il suo messaggio e attraverso questo rito accetta di passare dalle tenebre alla luce. Le autorità lo hanno intuito ed è questo che le rende inquiete.
La risposta di Giovanni è inquietante. Lui ammette di battezzare solo con l’acqua, lasciando intendere che ci sarà chi lo farà in un’altra maniera, indubbiamente più potente ed efficace, sarà “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo” (Gv 1,33). Il battesimo di Giovanni aiuta a cambiare vita, a lasciare il mondo delle tenebre e aderire a quello della luce. Il battesimo di Gesù darà la forza di restare nell’ambito della vita e della luce. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete: il personaggio annunciato è sconosciuto ai farisei. Le tenebre non percepiscono la luce e mai conosceranno il Cristo (Gv 8,19). I cultori della Legge non possono riconoscere lo Spirito.
Giovanni, riconoscendo di non essere degno di slegare il laccio del sandalo di colui che deve venire, allude alla pratica detta del levirato (dal latino levir = cognato – Gen 38,8-10). Nel Libro del Deuteronomio si prescrive che quando una donna rimane vedova senza figli “ …suo cognato si unirà a lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere di cognato. Il primogenito che ella metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto, perché il nome di questi non si estingua in Israele.” (Dt 25,5-6).
Con questa istituzione veniva salvaguardato il patrimonio del clan familiare, “le famiglie non si estingueranno e le proprietà resteranno tra i parenti” (Pseudo-Filone, Antichità bibliche IV, VIII, 23). Qualora il cognato avesse rifiutato di unirsi alla cognata per darle un figlio, il suo diritto di mettere incinta la donna passava ad un altro parente. Come gesto simbolico che sanciva questo passaggio, l’avente diritto si toglieva un sandalo e lo dava a colui che gli subentrava (Rt 3,12-13;4,5-8). Il rifiuto di procreare veniva considerato un grande disonore e “la sua sarà chiamata in Israele la famiglia dello scalzato” (Girolamo Mat 3,4; Dt 25,10). La relazione del Signore con Israele veniva raffigurata dai profeti attraverso il rapporto nuziale (“tuo sposo è il tuo Creatore” – Is 54,5; Os 2). Ma questo matrimonio si considerava ormai cessato per le colpe del popolo e Israele era infecondo, come una vedova. Giovanni sta dichiarando di non essere colui che dovrà fecondarla e invita a rivolgere l’attenzione a colui che deve venire: “perché è lo sposo di Israele”.
Questo luogo geograficamente è sconosciuto o inesistente (in certi manoscritti la località è indicata come Bet Abara [Gdc 7,24] o Bet Araba [Gs 15,6]). È probabile che sia una località simbolica, quella dove Gesù si ritirerà nell’ultima tappa del suo esodo dove costituirà la sua comunità (Gv 10,40-42; 11,1). Al di là del Giordano è espressione tipica usata per indicare il passaggio del fiume da parte di Giosuè (in greco Iēsûs) per entrare nella terra promessa (Gs 1,14-15). Ora ne significa l’uscita: la terra promessa, quella della libertà, si trova ormai fuori dai confini di Israele, cioè fuori dall’istituzione religiosa giudaica e sarà Gesù colui che guiderà il popolo nel nuovo esodo.