Blog di FORMAZIONE PERMANENTE MISSIONARIA – Uno sguardo missionario sulla Vita, il Mondo e la Chiesa MISSIONARY ONGOING FORMATION – A missionary look on the life of the world and the church
È indicato il giorno =tệ hēméra ekéinē=quel giorno (della Resurrezione) nel quale inizia la nuova creazione, =tệ mìậ sabbátōn=il primo della settimana. Il luogo non viene precisato. L’annuncio che Gesù è risuscitato non toglie i discepoli dalla paura per la loro incolumità in quanto anch’essi sono ricercati (nell’interrogatorio il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo i suoi discepoli, 18,19). Non è sufficiente sapere che Gesù è risuscitato, ma occorre sperimentarlo presente. Gesù si presenta ponendosi al centro (stette in mezzo) della comunità. Questa dell’evangelista è una indicazione teologica: la comunità cristiana è centrata unicamente in Gesù, unico punto di riferimento e fattore di unità. Viene sottolineato il contrasto tra il timore dei discepoli e la pace che Gesù comunica loro. Perché questa comunicazione di pace diventi effettiva deve essere accompagnata da gesti che la concretizzino. La pace di Gesù scaturisce dai segni del suo amore per i discepoli. Quell’amore che ha fatto sì che lui si consegnasse dando la vita per i suoi rimane impresso per sempre nella sua carne. Si realizza quanto Gesù aveva loro promesso: “Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia”(16,22). Il timore per i Giudei lascia il posto alla gioia per il Signore. Se avevano paura della morte che potevano infliggere le autorità, ora sperimentando Gesù resuscitato, sanno che nessuno può togliere la vita all’uomo.
L’incarico ricevuto dai discepoli è quello di prolungare la missione di Gesù per essere manifestazione visibile dell’amore
Il verbo “soffiò”=enephiúsēsen da emphiusáō è lo stesso usato dall’autore del Libro della Genesi nel racconto della creazione del primo uomo: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7 LXX). Gesù aveva detto: “è lo Spirito che dà la vita… le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita” (6,63). Questa, per Giovanni evangelista, è la Pentecoste di At 2,1. La pienezza di vita che Gesù risuscitato possiede viene trasmessa ai suoi. Il dono dello Spirito effettua come una nuova creazione. Questo soffio è lo spirito vitale che permette all’uomo di diventare un essere vivente (Sap 15,11), dotato di un principio di vita che è la partecipazione alla vita stessa di Dio e che ogni creatura deve accogliere sempre di più nella propria vita! L’uomo da corpo animale/materiale (essere animale) è diventato corpo spirituale (essere spirituale) [cfr. 1Cor 15,44], cioè se prima faceva conto principalmente sulla sua umanità ora può far conto sullo stesso Spirito di Gesù. La forza dello Spirito è contenuta nel messaggio, per questo Gesù comunica lo Spirito al momento di inviare gli apostoli a trasmettere agli uomini le parole ricevute dal Padre. Gli uomini devono prendere coscienza sempre di più di questa Presenza per giungere alla pienezza di vita, quella della nuova e definitiva creazione, portata a termine in Gesù.
Questo incarico di Gesù non riguarda solo alcuni della comunità, ma è rivolto a tutti. Compito della comunità è prolungare l’attività di Gesù. Come Gesù non è venuto per giudicare ma per salvare: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.” (3,17); e “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.”(12,47) così compito della comunità non è giudicare gli uomini ma offrire loro una proposta di vita che li conduca alla pienezza. Non si tratta di una “potestà” ma di una “capacità” che si misura dalla sintonia con Gesù per mezzo dello Spirito.
Affinché questo sia chiaro l’evangelista fa un attento uso dei termini: non adopera il verbo perdonare (=siunghighnṓskein) ma condonare/liberare/cancellare/togliere via ( = aphéōntai da aphíēmi), e si riferisce ai peccati e non alle colpe/mancanze degli uomini. [Il termine greco hamartía=peccato riguarda generalmente il passato dell’individuo (cfr. Rm 7,14.17.20.23.25; 1Cor 15,17; Mt 1,21) e non il suo presente e si riferisce a una situazione di ingiustizia (e non ad una colpa occasionale) nella quale l’individuo si trova volontariamente o perché non ha mai conosciuto un’alternativa. Negli scritti neotestamentari conosciamo altri termini usati per esprimere “il peccato” in una vasta gamma di significati: peccato involontario (Eb 9,7); fallo/sbaglio (Mc 3,28); iniquità /senza legge (Mt 13,41); mancanza (a un dovere) (Rm 11,12); trasgressione (di un comandamento) (Rm 5,19); prevaricazione (Rm 2,23); mancanza/peccato nel senso di singola violazione (Mt 6,14-15; Ef 1,7) ].
A tutti gli uomini la comunità dei credenti deve mostrare il progetto divino realizzato da Gesù, offrendo la possibilità di uscire dalla situazione di ingiustizia rompendo con la condotta precedente. Quanti lo accolgono vengono liberati dal passato di peccato. Quanti, pur ricevendo questa proposta di vita, la rifiutano rimangono sotto la cappa dell’ingiustizia/peccato. Se compito della comunità è prolungare l’attività di Gesù è bene tener presente che c’è chi ha dato adesione a Gesù liberandosi così del passato e c’è invece chi lo ha rifiutato indurendosi nel comportamento di ostilità verso gli uomini. Missione della comunità e anche la sua grande responsabilità è di far brillare la luce nelle tenebre per permettere a quanti desiderano la vita di accoglierla. La comunità prolunga così l’offerta della vita che il Padre fa alla comunità.
Tommaso è già apparso con il suo soprannome Didimo=Gemello nell’episodio di Lazzaro dove aveva dichiarato andiamo anche noi a morire con lui (11,16). L’evangelista sottolinea che non ha fatto l’esperienza di Gesù risuscitato e dello Spirito.
Tommaso che si era dichiarato disposto a morire con Gesù (Gv 11,16) non crede a una vita capace di superare la morte. È solo da questo versetto di Giovanni che si conosce l’uso dei chiodi per la crocifissione di Gesù e si conosce altresì che Tommaso, in effetti, sta protestando il suo disperato bisogno di credere!
Otto è il simbolo della pienezza nuova ed assoluta, è la cifra della resurrezione. La terza apparizione di Gesù avviene mentre i discepoli sono nuovamente riuniti. La presenza di Gesù diventa abituale quando i suoi sono riuniti. Sono forti le allusioni alla celebrazione eucaristica che manifesta visibilmente la presenza di Gesù. La reiterazione Pace a voi, che precede la comunicazione dello Spirito, indica che ogni volta che Gesù si rende presente rinnova la missione dei suoi discepoli comunicando loro lo Spirito. Gesù si manifesta a tutti ma si rivolge in particolare a Tommaso.
Nel rimprovero di Gesù risuona quello rivolto al funzionario di Cafarnao: Se non vedete segni e prodigi, voi non credete (4,48). Le mani e il costato di Gesù conservano in maniera indelebile i segni della passione alla quale l’amore per i suoi lo ha condotto.
Se nel prologo Gesù era già stato presentato come il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre…(1,18), qui per la prima volta Gesù viene riconosciuto come Dio, realizzando la sua profezia ai Giudei: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato (8,28) e realizzando quanto assicurato ai discepoli: In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi (14,20). Da Tommaso, l’incredulo, abbiamo la professione di fede più alta di tutti i Vangeli!
Punto centrale dell’episodio: la coppia dei verbi vedere/credere appare sette volte nel Vangelo di Giovanni (4,48; 6,30.36; 20,8.25.29.29bis) e tre volte compare in questo episodio. Non solo la situazione dei credenti di tutti i tempi non è inferiore a quella dei discepoli di Gesù, testimoni della sua risurrezione, ma è superiore perché quanti saranno capaci di credere senza vedere vengono proclamati beati a differenza di quanti hanno creduto perché hanno veduto. L’evangelista sottolinea che non vi sono apparizioni privilegiate (=esperienze) al di fuori della comunità. È questa che rende presente e manifesta Gesù risuscitato. In Giovanni vi sono solo due beatitudini, l’una in relazione all’altra: ”Sapendo queste cose, siete beati se le metterete in pratica…(13,17) e “…beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”(20,29). Il servizio, espressione dell’amore, darà ai discepoli la possibilità di sperimentare Gesù risorto.
Porre una prima conclusione avanti la conclusione finale di un libro era un procedimento letterario ben testimoniato nella letteratura antica (cfr. 1Mac 9,22).
Il pronome “questi” non indica solo i segni, ma anche le parole di Gesù e più esattamente tutto il contenuto del libro che è stato scritto. L’evangelista vuole attirare l’attenzione del lettore su questa testimonianza scritta della vita di Gesù. È questa testimonianza che deve condurre il lettore a credere in Gesù!
Associazione “il filo – gruppo laico di ispirazione cristiana” – Napoli http://www.ilfilo.org